Quello con il basso, seminascosto nella foto qui sopra, sono io. Ventotto anni e una manciata di mesi fa, al Casalone di Bologna, durante un concerto memorabile per l’hardcore italiano: Negazione (il mio gruppo), Ccm e Indigesti. Ma questa e’ (quasi) un’altra storia.Quel che importa qui e’ la storia del punk italiano: una scena non solo musicale che attraverso’ gli anni Ottanta ai margini dell’attenzione mediatica creando e diffondendo una “nuova versione” di quello che sembrava finito: “il punk e’ morto”. E invece no.
Era un tempo senza YouTube e senza social network, anzi un tempo senza internet. E non c’ erano nemmeno i telefoni cellulari. Manco il fax, per dire. Prima dell’Europa di oggi, con tutti i confini messi li’ a dividere.
Non c’era Mtv e si avvicinava quel 1984 immaginato da Orwell.In Italia,come nel resto del mondo,migliaia di ‘guys’prendevano gli strumenti in mano e riscrivevano le regole (“anzi, nessuna regola: e’ il punk, cazzo”) generando un suono, uno stile e intanto vivendo una ribellione che assumeva la forma di una comunita’, tante piccole comunita’. Hardcore, appunto.
Tutto accadde molto in fretta, tutto si consumo’ in una manciata di anni, lasciando pero’ tracce e conseguenze spesso infinitamente superiori alle intenzioni. Dalla musica al costume, fin dentro la politica e la societa’.
Ora un documentario racconta l’inizio di quel “tutto”: Italian Punk Hardcore, 1980-1989 di Angelo Bitonto, Giorgio S. Senesi e Roberto Sivilia, realizzato da LoveHate80.it in collaborazione con Foad Records. Tra video d’epoca, fotografie, manifesti e locandine di concerti, volantini ciclostilati e fotocopiati, la narrazione e’ affidata alle interviste, realizzate negli anni Duemila, ai protagonisti di allora.
Quando “c’era un cambiamento radicale di comunicazione rispetto agli anni Settanta”, come sottolinea Sergio, cantante dei Contrazione e contava solo, come spiega Tax, chitarrista dei Negazione, “l’attitudine del punk, il suono: volevo farlo anch’io”. Cosi’, tra iniziazione (“Il punk aveva qualcosa di attraente”), slogan (“nessuno ha il diritto di decidere per le nostre vite”), droghe, repressione, posti occupati – non si parlava ancora di centri sociali, non erano centri sociali – come il Virus di Milano (“il vero inizio”) quella nuova generazione andava alla scoperta del mondo, in rottura con quasi tutto. “Il punk era energia”, riassumono i ragazzini con le borchie di trent’anni fa. Il montaggio del documentario e’ veloce e abrasivo, come la musica: svicola tra le memorie di oggi e rimette insieme voci e suoni delle band: Nabat e Raf Punk, da Bologna; Dioxina da Rimini, Ccm da Pisa (“suonavamo veloce gia’ nel 1980”), che insieme ai fiorentini Putrid Fever e I Refuse it, ai lucchesi Wardogs e altri costituivano il Granducato Hardcore. Poi ancora gli Upset Noise di Trieste e gli storici Wretched di Milano, stessa citta’ dei Crash Box (“Sono nato per essere veloce”), gli alessandrini Peggio Punx e i baresi Chain Reaction, Reig di Macerata e Uart Punk da Messina, Eu’s Arse e Infezione. Concerti devastanti, cambi di formazione e traiettorie di vita. Anche queste, veloci come la musica. “In alcuni di quei ragazzi c’era la voglia di osare, provare a suonare all’estero”, testimonia Silvio, protagonista con i torinesi Declino prima e con i biellesi Indigesti poi, band leggendaria della scena. Perche’, come spiega Stefano Valli, in arte Stiv Rottame, geniale e goliardico ideatore della migliore fanzine dell’epoca, Teste Vuote Ossa Rotte, “i gruppi sembravano baciati da una polvere magica, creavano musica nuova con una carica dirompente”. E poi gli scazzi e le difficolta’, che’ il circuito si basava sullo scambio e sul baratto, anche internazionale: “Per contattare il mondo scrivevi lettere e scambiavi informazioni, dischi, fanzine, ti arrivavano decine di pacchi alla settimana”, ricorda Marco, con Stiv creatore di T.V.O.R. Le prime etichette indipendenti, dalla bolognese Attack Punk (“80 dischi in dieci anni e ogni volta i soldi li reinvestivamo nel disco successivo”, ricorda Helena Velena, allora Jumpy) alla Blu Bus degli aostani Kina. Mentre “lo spirito delle band si misurava non solo dalla musica ma dal loro modo di stare nella comunita’, ovvero nella scena”, dice Benzo dei Fall Out di La Spezia. Anche questo era l’hardcore italiano nella prima meta’ degli anni Ottanta. “Succedeva qui, succedeva nel mondo”, riflettono gli ex Underage di Napoli. E cosi’ i Raw Power da Poviglio, provincia di Reggio Emilia, nel 1984 se ne andavano a conquistare l’America (“in Italia se non cantavi in italiano non ti facevano suonare”, paradosso in una scena che rivendicava liberta’ totale e subiva pero’ regole mai scelte), diventando star del circuito underground (“suonarono a Los Angeles davanti a 10 mila persone”) in cui poi si avventurarono anche Indigesti e Ccm. I tour erano avventure e l’Europa che non esisteva ancora scopriva i suoni e l’energia portata dai furgoni carichi di ragazzi italiani che contaminavano scene ed esperienze diverse. “Una comunita’ nomade, in viaggio tra un concerto e l’altro”. I Negazione, per esempio. Tutto questo e molto altro racconta Italian Punk Hardcore, 1980-1989, con il limite dell’effetto-catalogo prodotto dalla collezione di voci e nomi. Proprio come le punkzine trent’anni fa. PS I Negazione si sono sciolti nel 1992, dopo nove anni, cinque dischi e quasi mille concerti. Molte band si erano gia’ fermate prima, poche hanno continuato fino a oggi. Qualcuna si e’ riformata in tempi recenti.
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