Ecco una recensione dettagliata del sabato Zap Fest all Hiroshima ad opera del buon Glauko (www.grindontheroad.com):
Zap-Fest 1 @ Hiroshima Mon Amour
Nella schizofrenica primavera 2014, fra solleoni estivi e revival temporaleschi tardo-autunnali, anche nel Nord-Ovest ci si sta preparando a dovere in vista della stagione estiva: l’etichetta torinese Zapping Productions, grazie al suo instancabile manager Marco Garripoli, il 2 ed il 3 maggio ha, infatti, organizzato, peraltro in uno dei locali più ‘in’ della Torino-alternativa-che-conta, il leggendario Hiroshima Mon Amour, la prima edizione (questo lo dobbiamo sottintendere vedendo quell’1 sul volantino…) dello Zap-Fest, decisamente incentrata sulla scena torinese più –core oriented. E come poteva essere altrimenti? L’evento, d’altronde, era un benefit per gli storici Fucktotum, punk band della Motown italiana, i quali sono, per così dire, inciampati in qualche bisticcio legale. Lungi dal volere fare commenti retorici o ad atteggiarmi a moralista della situazione, ma, soprattutto, desiderando essere chiaro e non frainteso, mi permetto di copiare/incollare un comunicato stampa diffuso un paio di settimane fa dal gruppo interessato – straight from the horse’s mouth, come direbbero in Terra d’Albione.
Marzo 2012: Un pugno di solerti tutori dell’ordine irrompe nella casa del cantante dei Fucktotum e, dopo una minuziosa perquisizione, si porta via qualche decina di cd e tre computer come “prova forense” in caso di processo: il gruppo è stato infatti querelato dal SULPM, il Sindacato della polizia municipale, per il testo della canzone “Chi ha mai sentito il bisogno dei vigili urbani”, ritenuto diffamatorio nei confronti dell’intera arma nonché categoria professionale. Il sito “www.fucktotum.it“, viene oscurato e, al posto dei testi delle canzoni, appare il logo della “Metropolitan Police of Turin” che avverte i visitatori che “le pagine web sono sottoposte a sequestro giudiziario e che la rimozione dei sigilli telematici costituisce reato”.
Maggio 2014: Dopo due anni dalla querela, il processo va avanti ed i Fucktotum, esclusa ormai la possibilità di una conciliazione con la “parte lesa”, che si sottrae a qualsiasi forma di dialogo, attendono ancora la sentenza del giudice, sostenendo le onerose spese legali che ogni causa inevitabilmente si porta dietro.
Fortunatamente, però, arrivano numerosi segnali di solidarietà al gruppo da parte di amici, colleghi musicisti, giornali e radio, che ritengono eccessiva e persino controproducente la reazione del sindacato nei confronti della band canavesana la quale, nel frattempo, per placare gli animi più suscettibili, ha leggermente modificato ed aggiornato il testo della canzone “incriminata”, rivolgendosi direttamente, non senza un po’ di velata ironia, agli operatori della municipale:
“scusa se un giorno ti ho offeso, caro poliziotto locale, se ti ho trascinato nel fango e leso la tua dignità. Hai fatto bene a volermi portare in un tribunale, perché giustizia sia fatta e trionfi la legalità”.
Non è certo la prima volta – e né, spero, sia l’ultima – che in ambito hardcore/punk vengono fatti eventi benefit di sostegno a chi ha rogne legali, tanto più nel Torinese, in cui, spesso, centri sociali ed altri enti organizzano live a favore d’associazioni culturali o per la questione NO-TAV; per quanto i Fucktotum abbiano tutta la mia solidarietà di fronte a questa assurda situazione, quanto importava al sottoscritto, comunque, principalmente, era ascoltare buona musica e, soprattutto, vedere se la leggenda di quell’HCxTO dei tempi che furono merita il culto che, specialmente in area pedemontana, spesso gli si tributa.
Purtroppo, per questioni lavorative, sono riuscito a presenziare solamente alla seconda serata, quella di sabato 3 maggio, quella, forse, maggiormente nelle corde del lettore medio (ce n’è qualcuno anche oggi, vero?) di Grindontheroad, nella quale si pigiava decisamente di più il piede sull’acceleratore.
La bill, orchestrata contestualmente sulla scena torinese (se non per i cuneesi Occhi Pesti), prometteva decisamente bene, ma soprattutto, sapeva stuzzicare ed incuriosire: vedere gli osannatissimi The Spirits, imparare un po’ di cronistoria recente coi Mucopus e, soprattutto, beccarsi nientepopodimeno che Giulio The Bastard (è il caso che spieghi dove canta questo signore?) nell’ineditissima veste di frontman dei Blue Vomit – vetusta punk-hardcore band dalla cui costola sarebbero nati gli storici e ben più famosi Nerorgasmo – erano decisamente ottimi argomenti per godermi il sabato sera.
A conferma di tutto questo, appena entrato negli ampi locali del bellissimo Hiroshima (un posto, almeno di recente, abituato a ben altra musica, rispetto a quella proposta nelle serate del 2 e del 3 maggio), due sono le cose che mi hanno colpito: 1 – la presenza, decisamente sopra la media rispetto a quanto io sia abituato dopo diciassette anni a seguire concerti di certa musica, di over 40 nel pubblico (e, nei momenti topici, si riveleranno decisamente più caldi degli hardcore kids under 25 tutti tatuaggio e foto su Tumblr col vinile in bella mostra); 2 – la frase “Ma dov’è Giulio?” ripetuta come un mantra pressoché da tutti i presenti (in seguito scoprirò che il Nostro, purtroppo, ha dovuto dare forfait per ragioni familiari), segno decisamente tangibile dell’affezione che il pubblico estremo piemontese ha per i Cripple Bastards, ma anche del fatto che l’esposizione mediatica dell’ultimo periodo della band sia in grado di stuzzicare l’attenzione e la curiosità d’un certo target d’ascoltatori. A queste, se n’è unita un’altra, sinceramente un po’ meno piacevole: da buon fan della musica ‘tangibile’, conoscendo la mole di materiale della Zapping e non solo, mi sarei aspettato qualche distro o, per lo meno, uno spazio significativo riservato alla promozione delle band, per magliette, cd, vinili e quant’altro. Ma vabbè. Tutto sommato, non dimentichiamolo, quanto più contava della serata era aiutare i Fucktotum e credo che il centinaio abbondante d’avventori abbia dato il proprio onesto e sentito contributo.
Per cui, come spesso amo dire nei miei report, lasciamo che ora parli la musica…
Zap-Fest 1
Hiroshima Mon Amour, Torino
Day 2: 3/05/2014
OCCHI PESTI
Alle 22,30, quando s’aprivano le danze e neanche una trentina di persone popolavano l’area concerti dell’Hiroshima, toccava ai cinque cuneesi rompere il ghiaccio con il pubblico, intimidito ed inibito dalla nota sindrome (tutta italiana) da inizio concerti. Con il loro hardcore punkeggiante straight-to-the-point, i Pesti non hanno avuto problemi a lanciarsi in una prestazione tirata, con pause brevissime fra una canzone e l’altra; godendo di suoni veramente buoni, le chitarre erano un muro e, particolarmente esaltato dal momento, ho notato che il batterista Pauch ha deciso di alzare di qualche bpm le canzoni, dando al combo della Granda un appeal decisamente fastcore che, tutto sommato, ben si sposa coi pezzi nuovi (egregia l’esecuzione di “L’Opportunità”, a mio parere il piatto forte dell’ultimo Oltre/Dentro) e svecchia i brani con qualche annetto sulle spalle (“Falsi Modelli”, ma, soprattutto, la debordante opener, urlata a squarciagola dal frontman Slash, “Ipnotico”). Se, sulla carta, gli Occhi Pesti potevano risultare più ‘indietro’ rispetto alle altre band della lista, nella realtà dei fatti, per furia di cose, si sono dimostrati tutt’altro che da meno, ‘vincendo’, idealmente, il ‘festival di San Zapping’: malgrado la freddezza dei primi astanti (e non lo dico per mero campanilismo, viste le mie origini), i cinque bad boys hanno fornito uno show arrabbiato, diretto, eseguito con precisione e vissuto con la genuina hc attitude a cui si rifanno (zero tamarrate e slogan facili facili, ma, per parafrasarli… Il Sapore di un Pugno). Bravi.
GYPSY WAGON
“Si scrive con due Y, eh?”, m’ha ricordato, sorridente, la cantante-chitarrista, al termine dell’esibizione della sua band. Già, perché trattasi d’un quartetto squisitamente al femminile in ogni suo reparto, con la classica formazione rock: due chitarre, un basso ed una batteria. Per quanto detesti generalizzare, ammettiamolo: da che mondo è mondo, quando qualche recensore (uomo) recensisce una band di sole donne, sia nel bene, sia nel male, inevitabilmente finisce per essere tremendamente maschilista.
Se, nel male, può scadere nel più abusato ‘w la figa’ o ‘quella là, al di là di come suona, me la farei’, mettendo, dunque, la musica da parte (fattore spesso sintomatico di lacune evidenti), nel bene, quando sono lodate le capacità tecnico-compositive, l’originalità e/o la grinta della proposta, si tende sempre a sottolineare il talento, mettendolo necessariamente a paragone col mondo maschile (per carità, so benissimo che il 99,9% della musica che ci piace è stata fatta da portatori di pene, con buona pace delle ‘clonesse’ di Bilinda Butcher e Ana Haemorrage), quasi che, quando si fa certa musica, essere donne fosse un handicap – e.g.: ‘che braaave, hanno una grinta da veri maschiacci, nonostante siano anche delle belle ragazze!’. Quindi: non è mia intenzione far commenti abusati, per cui che si venga al dunque. Le Gypsy Wagon se la suonano alla grande, hanno presenza, sanno coinvolgere (decisamente il loro essere 4/4 in gonnella ha incuriosito ed aumentato il numero dei presenti) e possono divertire, ma la loro proposta, un alternative-rock figlio di Nirvana, Melissa Auf Der Maur, con qualche riffone roboante stile primi Deftones, corna al cielo e fuck-yeah-attitude à la Metallica, è decisamente abusata. Ciononostante, tanti maschioni, in quella stessa sera, non faranno la loro stessa (buona) figura.
MUCOPUS
Da non confondere con l’omonima brutal band newyorkese, i Mucopus sono genuinamente torinesi e, attorno al 1995, hanno messo la loro firma in quello che rimaneva della scena hardcore torinese, dopo il mitologico ciclo di fama e gloria segnato dalle ben più note punte di diamante di quel periodo, i grandissimi Negazione. Ai loro tempi, dunque, parlare di HCxTO aveva certamente un senso; non, come spesso accade oggi, un accanimento terapeutico di un giro di aficionados che, a priori, benedicono tutto ciò che è –core ed esce da Torino, solo per il semplice fatto che, negli Annali della Musica del Diavolo, la città della FIAT c’ha messo il suo (sempre grazie ai già citati Negazione, peraltro). A metà degli anni Novanta, inoltre, all’ombra della Mole, nascevano realtà significative come Arturo e Crunch, in grado di mettere in secondo piano i suddetti Mucopus, ritornati (tutti e tre) ora in auge grazie al trend secondo il quale ‘old school è figo’, imperante negli ultimi anni. Per carità. Fra anni ’80 e ’90 è uscita un sacco di roba spettacolare in grado di oscurare tantissime band attuali; chi lo nega?! Ma da qui a benedire a priori qualsiasi reunion, it’s a long way to Tipperary. Ed è anche vero che, in Italia, in ambito hc puritano, abbiamo gente come Attrito, che, per dirla senza troppe perifrasi, spaccano di brutto i culi. Questo, comunque, non toglie il fatto che fossi piuttosto curioso di vedermi i Mucopus, dei quali, per le ragioni di cui sopra, conoscevo solamente il nome. Se, fino ad un secondo prima, nella mia mente questi signori erano gregari del trend ‘si-riuniscono-tutti-facciamolo-anche-noi-vedrai-che-andrà-bene’, non appena ho visto alle pelli della band Sergio Pavinato (Mind Snare, ex-Woptime), ho iniziato a sperare di potere assaggiare un po’ d’arrosto, una volta diradato tutto il fumo. E così è stato. Se gli allora più blasonati e altrettanto oggi riuniti Crunch, attualmente, dal vivo, talora nicchiano, la pietra scartata dal costruttore è diventata testata d’angolo: i Mucopus hanno veramente spaccato, con canzoni dal mood profondamente punk che raramente superavano i cinquanta secondi, in un equilibrio fra D.R.I. periodo ‘brevi ma intensi’ di Dirty Rotten Imbeciles e la genuinità dell’accacì-tì-ò che conta, per un fastcore de noàrtri che avrebbe potuto – chissà? – competere con quello che nasceva negli stessi anni nella West Coast statunitense. In grado di scatenare il primo vero pogo della serata, coinvolgendo tanti ex-kids dei tempi d’oro, più carichi che mai. Promossi a pieni voti. Per una volta, rimando me stesso, reo di non avere fatto i compiti come si deve, a ‘sto giro. W le reunion, se fatte con cognizione di causa. PS – azzeccatissime le cover di 4 Skin (“All Cops Are Bastards”… e i Fucktotum ne sanno qualcosa!) e dei Rough (quella “Torino è la Mia Città”, riproposta da pressoché chiunque, dagli Statuto ai Woptime), riadattate in una vena più fast che mai!
SETTEMBRE NERO
Per evitare di allargare la mia cerchia di haters, dirò semplicemente che se tu, caro fantomatico lettore medio di Grindontheroad, ora come ora, sei su queste pagine virtuali, probabilmente poco t’importerà di leggere un report su questi signori, fautori d’un mix fra Subsonica, Nine Inch Nails, ultimo Marylin Manson, con voce effeminata biascicata in tradizione Marlene Kuntz/Verdena. Per carità, bravissimi sicuramente a fare la loro cosa, ma un panino con porchetta, ketchup, maionese, funghetti e pomodori secchi dal porcaro di fianco al locale, in quella mezz’ora, m’ha intrigato decisamente di più.
INTO MY PLASTIC BONES
Con gli Into My Plastic Bones, invece, senza dubbio, si ritornava nell’area di competenza della nostra webzine: sono, infatti, una band fortemente ispirata al noise/post-rock dei primi 90s e, dunque, non a caso, un power-trio. Confesso di non avere mai sentito parlare di loro, benché la High Voltage Records abbia fatto uscire, un anno fa, il loro Jallo EP; nelle loro sonorità è stato, comunque, semplice riconoscere tutti i clichés di questo genere che, pur essendo per definizione sperimentale, se suonato senza la giusta dose di follia, finisce per essere anch’esso profondamente derivativo. Gli Into My Plastic Bones, un po’ funestati da dei suoni che facevano grattare la chitarra e mettevano in seconda la voce – un urlato di scuola Chris Spencer, ma neanche troppo convinto –, mi sono risultati spesso ripetitivi e fautori di soluzioni che, all’epoca, per Helmet ed Unsane erano pane quotidiano, dandomi la tristissima impressione che abbiano suonato per tutto il set il medesimo pezzo. La prestazione così così del trio m’ha permesso di uscire una seconda volta dall’Hiroshima e notare un fenomeno socio-antropologico che, nel corso della serata, tendeva a ripetersi, se non, addirittura, diventare una costante: ammassarsi in variegati capannelli – chi per una birra, chi per una sigaretta, chi per il superjoint del ritual del sabato sera – sul marciapiede o di fronte all’immediata entrata di un locale in cui qualcuno sta suonando MA non entrare. L’ho già visto più volte e pare sia un qualcosa di tipico nelle grandi città: già a Torino, ma anche a Milano. Ok, sarò un barotto ignorante e retrogrado di Cuneo, ma mi chiedo ancora adesso perché. Per quanto riguarda, invece, gli Into My Plastic Bones, mi auguro di risentirli in un altro contesto, con suoni migliori e maggiore convinzione.
THE SPIRITS
A risollevare le sorti, ci hanno pensato i The Spirits, pupilli proprio della Zapping Prodctions, la quale ha prodotto lo scorso anno il loro disco d’esordio I Tuoi Sogni. Nonostante un solo album in uscita i Nostri, però, sono tutt’altro che giovincelli di primo pelo: nella loro formazione militano signori che hanno sempre suonato in ambito punk/hardcore in quel di Torino, fin dai primi anni Novanta. La loro proposta, in ambito hardcore nostrano, è stata decisamente apprezzata: loro dicono di fare semplicemente punk, ma, I Tuoi Sogni alla mano, per certi versi, pare di sentire dei Jester Beast (i pezzi grossi della Zapping… chissà se in uno Zap-Fest 2 ci sarà spazio pure per loro?) scevri della loro venatura folle e sperimentalista, nonché un andazzo fra Exploited e Negazione, ibrido di certo thrashcore, il tutto coronato da una voce veramente aggressiva e graffiante. L’attesa di vederli dal vivo, insomma, era piuttosto grande. Purtroppo se l’impianto dell’Hiroshima aveva fatto brillare le performances di Occhi Pesti, Gypsy Wagon e Mucopus, con suoni cristallini e corposi, dagli Into My Plastic Bones in poi, qualcosa è cambiato: la batteria era decisamente ‘indietro’, specie nei tempi più veloci; la chitarra ed il basso, un pastone granoso; solamente la voce, dal timbro decisamente particolare e d’impatto, del frontman Fabio ‘Zombie’ Garripoli emergeva, denotando la grinta del cantante sicuramente più carismatico della serata (complice anche il fatto d’avere portato on stage nientepopodimeno che la Madonna come special guest!). Il pubblico, in compenso, ha apprezzato, divertendosi alla grande e affollandosi sotto il palco, fra sane scapocciate. Da parte mia, preferisco risentirli live un’altra volta, con suoni più convincenti.
BLUE VOMIT
Come da copione, l’arrivo degli headliners è stato accolto trionfalmente dai presenti e anche i più duri e puri oltranzisti della comparsata sul marciapiede hanno pensato che, tutto sommato, fosse il caso d’andare dentro a vedere cosa stesse succedendo: senza dubbio, infatti, i Blue Vomit sono stati la band accolta con maggior calore, all’interno dello Zap-Fest. Ed è stato proprio con loro che i mitici over 40 presenti hanno dato il loro meglio, scatenando cori da stadio, pogo da Golden Ages of Punk Rock e urlacci molesti fra una canzone e l’altra. Da spettatore, faceva sorridere – fra l’ironico ed il compiaciuto – vedere generazioni così diverse confrontarsi fra loro in maniera così inedita rispetto a quella che è la quotidianità (con un piccolo gioco d’astrazione, facile vedersi nella mente molti di quei ragazzi sui banchi di scuola e molti di quei signori alla cattedra, in bidelleria o alla guida di affollati bus di linea) e confesso che la mia simpatia era tutta per la verace voglia di divertirsi di quegli hardcore un tempo-kids che, in tempi non sospetti, erano lì a crederci col cuore per i vari Declino, Nerorgasmo, Blue Vomit, in simbiosi con chi, dall’altra parte del globo, faceva lo stesso per Black Flag, Cro-Mags e Negative Approach. Gente, insomma, che sapeva cosa volesse dire hardcore Torino: ci divertiamo a fare casino, prima ancora che diventasse un tormentone dei Woptime. Dirò di più: sono profondamente convinto che, in maniera privilegiata, quel concerto di ritorno dei Blue Vomit (in formazione rigorosamente originale, tranne, per ovvi motivi, Luca Abort, sostituito da Massimo ‘Bugs Bunnj’ Campis) fosse tutto per loro e non per chi, più per tendenza che per passione, benedice l’old school ad oltranza, fomentando lo showbiz ed i suoi surrogati alla formazione di tragicomiche reunion… Per loro Torino è ancora una città morta, come cita il noto anatema del ritornello di “Vivo in una Città Morta”; per tutti gli altri, “Lo Spirito Continua”.
Complimenti a Marco ed alla sua Zapping Productions, solidarietà per i Fucktotum e dita incrociate per uno Zap-Fest 2 più bello che mai al più presto.